OPHER THOMSON è tornato a Vicenza
mercoledì 29 giugno alle 18:00
INCONTRO CON L’ARTISTA
presso il cortile interno di Palazzo da Schio Ca’ d’Oro – Corso Palladio, 147 36100 Vicenza (VI)
ENGLISH VERSION HERE >> Discordant With: OPHER THOMSON

OPHER THOMSON interpreta gli spazi geografici e i luoghi percepiti nel tentativo di comprendere meglio il loro ruolo nel plasmare delle dinamiche sociali. Lavora con parole, immagini, mappe e suoni per tradurre questi siti in spazi di riflessione e discussione. La sua ricerca si occupa in particolare di nuove prospettive nel rapporto fra centro e periferia, oltre a riconsiderare cosa potrebbe significare casa in un mondo globalizzato.
I suoi film documentari sono stati presentati in importanti festival cinematografici come Tallinn Black Nights, Torino Film Festival e Camerimage, e The New Wild: Vita nelle terre abbandonate è stato distribuito in cinema in tutta Italia prima di essere stampato e pubblicato in formato libro. I suoi altri libri includono il romanzo Travels Through Absence e il libro fotografico Il luogo in mezzo. Ultimamente, tuttavia, tenta di vivere la sua ricerca piuttosto come un’esplorazione in corso anziché una produzione di opere concluse, con maggiore enfasi su dialogo e collaborazione, domande e pluralità. La sua nuova ricerca Forrest sta già prendendo forma attraverso mostre fotografiche, installazioni, passeggiate guidate, letture pubbliche e performance sonore che anticipano un saggio fotografico e una serie di scritti – una sorta di libro senza casa, Canti del Parto.

Oltre alla propria ricerca, OPHER THOMSON è anche coinvolto in vari progetti sociali e comunitari. Lavorando al fianco di sociologi, geografi, architetti, urbanisti, operatori sociali, volontari, artisti e gente del posto, offre seminari e workshop per aiutare a sviluppare letture collettive dello spazio che possono informare meglio i progetti e arricchire i processi partecipativi.
Dopo aver costruito la sua carriera come regista e romanziere, Opher Thomson di origini inglesi, ha deciso di seguire un’idea che lo ha portato ad applicare le sue conoscenze in un modo diverso per mettere in risalto un tema che gli è caro: il concetto di casa.
La sua volontà di scoprire per capire meglio si è già manifestata nelle sue precedenti produzioni in cui, attraverso l’esplorazione di ambienti ai margini della società contemporanea, ha messo in risalto la relazione, o meglio la sua mancanza, tra l’uomo moderno e la natura. La necessità di vivere in prima persona le esperienze che poi racconta nella sua arte, lo porta a immergersi completamente nell’ambiente che è il focus della sua ricerca. In tutti i suoi numerosi progetti, al centro è posto la nozione di casa, non solo come esplorazione della distanza tra lo stile di vita moderno e i rapidi cambiamenti che il nostro mondo sta vivendo, ma anche come idea attorno a cui intessere un dialogo a molte voci che raccontano la propria esperienza. Questa narrazione pluralistica permette ad una discussione di evolvere e di trovare dei terreni comuni in queste distanze che, viste dall’esterno, sembrano enormi.
A costruire questa intervista di DiscordArtE con Opher Thomson, si sono impegnate Virna Manattini (V) e Sara Ghirelli (S).

V- Opher, devo dire che non è facile trovare informazioni su di te in rete, nonostante tu sia una figura ormai affermata nel tuo campo. In un mondo digitale in cui le informazioni sono facilmente reperibili, per chi le voglia cercare, come mai hai deciso di rimuovere le tue tracce elettroniche?
Non ho deciso di eliminare le mie tracce digitali, semplicemente non mi occupo più di crearle. È da qualche anno che non uso più i social media e ho trovato modi più gratificanti per impiegare il mio tempo. Credo che forse ci siamo lasciati andare allo spettacolo della creazione artistica, giudicando il suo valore attraverso il “coinvolgimento” numerico piuttosto che attraverso i legami emotivi più profondi dell’empatia che il processo può offrire, e quindi cerco di concentrare il mio coinvolgimento nel vecchio e sporco mondo reale.
È più difficile da misurare, ma non meno vitale. Lascio impronte nella polvere e nel fango per chiunque voglia trovarle: non c’è occultamento.
Anche se un paio di anni fa ho cambiato nome, il che probabilmente ha coperto qualche traccia.
S- Da come si legge di te sul tuo sito, ”[Opher] Lavora con parole, immagini, mappe e suoni per tradurre questi siti in spazi di riflessione e discussione”. Cosa ti ha spinto a intraprendere queste professioni o questo percorso? Perché hai deciso di intraprendere questo cambiamento che ti ha portato alla produzione di questa nuova opera d’arte sempre in evoluzione?
In realtà non ho mai sognato di diventare un regista o uno scrittore, ma sono sempre stato commosso dalle parole, dalle canzoni, dai documentari, dalla luce, e volevo parteciparvi in qualche modo. Il mondo è molto grande e vi accadono molte cose, e ho sempre avuto bisogno trovare modi per elaborare le mie esperienze e quelle degli altri – le loro storie.
L’arte mi ha dato un modo per esplorare e assimilare queste cose e la possibilità di condividerle con gli altri. Si tratta di curiosità e di un desiderio infantile di partecipare e giocare. I nomi possono limitare e mettere sotto pressione; i verbi sono aperti e liberatori. Quindi preferisco dire “scrivo” piuttosto che “sono uno scrittore”. Oppure, se dicessimo che sono uno scrittore perché scrivo, allora dovrei ricordare a me stesso che non scrivo perché sono uno scrittore, ma perché mi piace farlo.
V- La tua produzione artistica tende a sottolineare il concetto di casa, attraverso l’esplorazione di luoghi che sono ai margini della società contemporanea. Come sei arrivato a porre al centro delle tue riflessioni il concetto di “casa”? Come lo inserisci all’interno del tuo processo produttivo?
Credo sia piuttosto il contrario. La mia ricerca artistica inizia a prendere forma quando mi rendo conto che le persone continuano a parlarmi della stessa cosa. Non si tratta quindi di inserirla nel mio processo, ma piuttosto di adattare il mio modo di lavorare alla ricerca. Di solito non so fin dall’inizio quale forma prenderà, e spesso mi sorprendo io stesso. Vedo l’arte come una traduzione di realtà e un modo per coltivare l’empatia.
V- Perché pensi sia importante parlare, nel mondo di oggi, del concetto di casa e condividere questo pensiero con altri?
Il nostro senso di casa sta cambiando rapidamente e le persone hanno bisogno di affrontarlo; una volta che sono diventato più consapevole di questa conversazione continua, spesso silenziosa, è stato più facile per me partecipare alla riflessione su questi temi. Poiché “casa” è sempre più un’esperienza frammentaria, questo si è riflesso nel mio modo di lavorare.
V- Come si sviluppa il tuo processo produttivo?
Il mio nuovo progetto FORREST ha già preso la forma di un libro, di un saggio fotografico, di video, di laboratori, di mostre, di presentazioni, di passeggiate guidate e senza dubbio continuerà a evolversi. In futuro spero di renderlo sempre più collaborativo, sia invitando altri artisti a condividere la ricerca, sia organizzando eventi un pubblico maggiore.

S- Come è nata la mostra “Con la loro partenza nacque il sogno di un ritorno”, che si è tenuta nel Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza?
Avevo già presentato il mio primo lungometraggio THE NEW WILD: VITA NELLE TERRE ABBANDONATE in una precedente edizione del festival “Vicenza e la montagna“, e l’anno scorso mi hanno invitato di nuovo a creare qualcosa di nuovo per questa mostra fotografica annuale. Poiché il festival incoraggia un rapporto urbano con la montagna, ho deciso di creare un’opera sul sogno dicotomico di una nuova vita nella natura pura delle montagne, come una sorta di fuga dalla città – con tutte le complicazioni inerenti.
V- Il progetto, che hai esposto al museo di Santa Corona, è stato per molte persone emozionante. Noi per prime ne siamo rimaste meravigliate quindi volevamo capirlo meglio. Che significato ha per te? E come hai pensato di trasmettere questo? Da cosa deriva questa idea?
Mi fa piacere che il mio lavoro sia stato apprezzato. Non ho cercato di ottenere questa reazione in quanto tale; credo sia più un esempio di fiducia nella sincerità della propria espressione. Se creiamo un lavoro che ci commuove, probabilmente lo comunicheremo anche agli altri.
Forse il ruolo dell’artista è quello di essere il primo a spogliarsi. Ma prima deve esserci un grande lavoro d’ascolto: se ascoltiamo le speranze e le paure delle persone che ci circondano, come esseri umani curiosi ed empatici, credo che questo si rifletta nel lavoro che creiamo.
V- Sappiamo, dalla nostra precedente chiacchierata, che le foto e i testi presentati all’esposizione vicentina di questo inverno fanno parte di una tua produzione più ampia che si è consolidata in un libretto in formato tascabile. Cosa rappresenta per te questo libro? E come intendi farlo conoscere alle persone?
Sì, l’opera fa parte del progetto FORREST, una ricerca artistica che riflette sulle diverse forme ed espressioni che riflettono sull’ “assenza e mancanza di casa” e su come queste possano forse avvicinarci. All’interno di questo corpo di ricerca ci sono diversi pezzi in diverse forme. Uno di questi, forse per me il più importante, è un pezzo scritto, la descrizione di un viaggio, BERTH SONGS (in italiano CANTI DEL PARTO; l’opera è in corso di traduzione) che sarà condivisa in forma di libro. L’idea è che gli elementi più visivi e fonici del progetto complessivo siano alla base di eventi e punti d’incontro con il pubblico (mostre, proiezioni, laboratori) e che il libro possa poi essere portato “a casa” per una riflessione più intima.
S- Una qualche curiosità riguardo a questo libricino? Posso chiederti perché è stato riportato un falso codice a barre sul retro?
Ogni libro è una combinazione di forma e innovazione: in termini di formato, i libri seguono più o meno lo stesso principio di base da secoli, eppure dovremmo chiederci ogni volta che cosa stiamo cercando di comunicare esattamente, e a chi.
Nel mio caso avevo inizialmente immaginato un libro che comprendesse tutto, sia parole che fotografie, ma questo avrebbe prodotto un oggetto grande, pesante e costoso, difficile da trasportare agli eventi e che avrebbe richiesto un prezzo tale da rendere il progetto esclusivo. Mi sono quindi posto la sfida di produrre un libro elegante che comunicasse il progetto con il giusto tono, ma che fosse anche il più piccolo e leggero possibile, e con un costo di stampa basso che permettesse al libro di essere un regalo, piuttosto che un “prodotto”.
Con questo progetto ho voluto sperimentare il nostro senso del valore e il codice a barre, che ha la forma di un pianoforte, è un modo giocoso per sottolineare che il libro ha un valore ma non un prezzo: sarà liberamente disponibile in occasione di eventi culturali (per i quali vengo normalmente pagato) piuttosto che venduto. E mi sembrava appropriato progettare un libro delle dimensioni di un CD con il titolo BERTH SONGS (CANTI DEL PARTO).
V- Partendo dalle tue produzioni passate, immagino che tu abbia già qualcosa di nuovo su cui sta lavorando. Possiamo averne una anticipazione?
Sto trovando sempre più espressività nel suono, con il quale ho sempre giocato un po’ per i miei film, soprattutto per il suo impatto emotivo e la sua universalità, quindi attualmente sto studiando quanta più teoria possibile e sto imparando a suonare alcuni strumenti elettronici. Tuttavia, il progetto FORREST è appena iniziato e, essendo nato come risposta a varie guerre in corso, rimane purtroppo terribilmente attuale, quindi mi ci dedicherò ancora per un po’.
V- A conclusione di questa intervista non posso fare a meno di chiederti perché tu abbia voluto parlare di te e del tuo lavoro qui, insieme a noi, a DiscordArtE?
Grazie per l’invito! È un piacere per me condividere alcuni dei processi che stanno dietro a questo lavoro. Spero di tornare presto a Vicenza e in Veneto per condividere il mio lavoro.
S- Un’ultima domanda, cosa consiglieresti di fare ad una persona interessata ad entrare a far parte di questo ambiente?
Ogni giorno vengono pubblicati innumerevoli articoli su come avere successo come artista, pieni di consigli e trucchi, ma ovviamente se li seguissimo tutti spariremmo nella stessa massa e, come ho cercato di spiegare sopra, non trovo affatto utile il concetto di “essere” un artista.
Quindi, invece di cercare di essere un regista, perché non facciamo semplicemente un film, lungo o corto che sia, in qualsivoglia forma? Poche immagini, pochi suono: cosa succede quando li mettiamo insieme? Cosa succede se combiniamo qualche suono e qualche immagine? I libri nascono quando iniziamo a scrivere e non ci fermiamo. Qualche nota, una poesia: si accelera quando ci si rende conto che si sta imparando qualcosa.
Partiamo da ciò che ci emoziona e vediamo dove ci porta… Una volta un ragazzo mi ha aiutato a capire meglio questo aspetto quando mi ha detto: “Vorrei fare lo scrittore!“, al che ho potuto solo rispondere: “Tu scrivi?“.
Forse sto semplificando troppo, ma più semplifico la vita e più lavoro e inviti sembrano arrivare. Devi chiederti quali sono le tue vere priorità. Bisogna lasciar andare molte cose per vedere ciò che si ha.

Tu cosa ne pensi? Hai qualche altra curiosità?
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